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La bottega dei suicidi – Conferenza stampa con polemiche

20/12/2012 | News |
La bottega dei suicidi – Conferenza stampa con polemiche

E’ stato presentato ieri mattina alla Casa del Cinema di Villa Borghese, La bottega dei suicidi primo film d’animazione del regista francese Patrice Leconte, una commedia musicale “nera”, irriverente, intrisa di umorismo e capace di trattare un argomento difficile come il suicidio in chiave comica. La singolare vicenda è ambientata in una cupa città i cui abitanti hanno perso il gusto di vivere. Il solo luogo dove si tira un sospiro di sollievo è appunto “la bottega dei suicidi” dove tutti possono trovare il modo più adatto per porre fine alla propria vita. In un momento così nero per l’umanità, gli affari vanno a gonfie vele solo per i coniugi Tuvache che gestiscono la strana bottega. Fino a che la nascita del loro terzo figlio Alan, un bambino felice di essere al mondo fin dal primo vagito, porta uno scossone inaspettato.
Il film uscirà venerdì 21 dicembre nella sola città di Roma in una sola copia e in un numero tra le 15 e le 20 copie nelle altre città d’Italia il 28 dicembre.

Presente in sala, il regista francese ha parlato di questo suo singolare cartone animato prendendo le mosse dalla prima inevitabile domanda sulla sua reazione alla decisione shock della Commissione di revisione cinematografica di vietare nel nostro Paese il film ai minori di 18 anni. Tra le motivazioni del divieto si legge “la leggerezza con cui è trattato il tema dei suicidi e la facilità d’esecuzione”, si parla inoltre di “forti rischi di emulazione per bambini e ragazzi in età critica”.
(Si attende comunque nei prossimi giorni il verdetto finale del ricorso presentato alla Commissione, n.d.r.)

Patrice Leconte: Sono venuto a sapere di questo divieto ieri sera e sono rimasto colpito perché non lo capisco. Ho una nipotina di 8 anni e quando ho fatto il film ho pensato continuamente a lei perché volevo fare un film che piacesse anche a lei. Ho fatto vedere il film a lei e a una sua compagna di scuola. Le bambine hanno adorato il film perché si sono identificate col personaggio del bambino ottimista Alan e come lui pensano che la vita è bella. Sono abbastanza stravolto da questo divieto perché il messaggio del film è che la vita è bella. Non è mai stata mia intenzione spingere la gente a suicidarsi anche perché sarebbe un’assurdità. Anche quando il padre spinge il figlio a fumare è una cosa talmente assurda che si capisce qual è il messaggio tanto che in Francia e negli altri Paesi in cui è uscito come Francia, Belgio, Svizzera non ha suscitato questa reazione. E ora uscirà anche in Russia e Giappone e in altri Paesi. Oltretutto il libro di Jean Tulé da cui è tratto è stato un bestseller ovunque e nessuno lo ha mai vietato.
E poi… è assurdo vietare un film due giorni prima della fine del mondo! (ridendo)

Come ha incontrato questo libro e come si è appassionato?
Patrice Leconte: Conosco bene l’autore Jean Teulé, già conoscevo il libro, mi era stato proposto di adattarlo per il cinema qualche anno fa ma avevo rifiutato perché ritenevo che il non potesse essere adattabile, almeno nel cinema tradizionale, a meno che non ci si chiami Tim Burton. In seguito un altro produttore ne ha comprato i diritti e mi ha proposto di farne un film d’animazione e l’idea mi è sembrata subito geniale perché l’animazione permette una sfasatura rispetto alla realtà e mi offriva la possibilità di esprimere il mio humour nero.
Avevo voglia di fare un film molto noir e allo stesso tempo molto allegro, aggiungiamo il fatto che ho goduto dell’enorme libertà che lascia l’animazione e la possibilità di fare un film musicale era un mio vecchio sogno: tutte queste cose insieme mi hanno permesso di dire di si alla proposta in circa 23 secondi!

Che tipo di sfida è stata, con quale animo ha aderito al progetto?
Patrice Leconte: Quando ci si tuffa in un nuovo progetto ci vuole sempre una certa dose di incoscienza perché mi sono reso conto che quando si riflette troppo sulle cose si finisce per diventare prigionieri di queste riflessioni. Quindi preferisco affrontare tutto con un approccio intuitivo e con un film d’animazione mi sono sentito assolutamente libero. Il produttore mi ha detto di prendermi tutta la libertà e alla fine l’autore del libro mi ha fatto un bel complimento dicendomi: “Il film è tuo ma senza il mio libro non avresti potuto farlo”.

Il finale del film è diverso da quello del libro. Come mai questa decisione di cambiare il finale?
Patrice Leconte: Il libro ha un finale assai pessimista.  Mi è sembrato un finale impossibile per un film d’animazione. Allora mi sono divertito a inventare un finale positivo, kitsch, esagerato, sperando di poter far passare il messaggio che la vita è bella. Certo, non è del tutto vero, la vita non è del tutto bella ma è meglio della morte. Sempre se si può scegliere.

Il finale è aperto, come lo ha scelto? E come ha scelto la canzone di Charles Trenet per la scena iniziale? Vuol dire che è come se dovessimo andare a cercare nel passato le ragioni per essere ancora felici?
Patrice Leconte: Si, non è del tutto sbagliata questa idea. Non sono necessariamente nostalgico ma nutro un certo gusto per il passato e volevo fare un film che fosse un po’ atemporale e non moderno a tutti i costi per evitare di dire che la società moderna ci spinge al suicidio, volevo cercare di essere più “universale”. La canzone dei titoli di testa si intitola “C’è gioia” ed è cantata da Charles Trenet. E poi quando nel finale Alan salta giù e cade su un cartellone ho trovato divertente farlo precipitare sul naso di Jean Gabin.

Ci sono stati modelli come “La famiglia Addams” o punti di riferimento del cinema di animazione?
Patrice Leconte: Mi è sempre piaciuto molto il cinema d’animazione e mi sono sentito a mio agio ed è vero che dal momento che si comincia a lavorare su un argomento simile, i riferimenti alla Famiglia Addams o a Tim Burton sono inevitabili. Uno degli esempi più straordinari del cinema d’animazione è stato per me “Nightmare before Christmas”, adoro anche i film di “Wallace & Gromit” e alcuni film della Pixar come “Moster & Co.” che considero un capolavoro assoluto.
E’ vero che siamo lontani da mondi come quelli di Biancaneve o Bambi. Si dice che le cose della Disney sono molto sdolcinate ma non è sempre vero. Nel mondo Disney ci sono zone d’ombra abbastanza inquietanti, pensate solo al film “Fantasia”. 

Il tema spinoso del suicidio e dell’eutanasia in Italia è molto forte soprattutto per motivi religiosi. Ma anche in altre culture il suicidio ha un’altra valenza. Quando ha lavorato sul film si è mai posto la questione della sensibilità di altre culture come ad esempio quella giapponese?
Patrice Leconte: Ho effettivamente pensato che l’argomento sarebbe stato temibile. Sono assolutamente consapevole del fatto che il film potesse essere accolto in modo diverso in Paesi con diverse culture. Ma mi sono reso conto che affrontando questo argomento con derisione sarei riuscito a farlo passare.  E’ vero però che forse in Giappone più che al suicidio reagiranno male alla scena in cui si suggerisce il rituale del “seppuku” (il rituale del taglio del ventre con uno spadone).

Dal punto di vista cinematografico questo film fa pensare a Ladykillers o Arsenico e vecchi merletti. Sono riferimenti a cui ha pensato?
Patrice Leconte: Questi film parlano con leggerezza di un argomento grave come la morte ma ritengo che questi film siano più “frequentabili” di quelli della Hollywood di oggi.

Non aveva mai girato un film d’animazione e il suo primo film del genere poteva scegliere di girarlo in diversi modi. Quali motivi le hanno fatto scegliere l’animazione tradizionale in due dimensioni piuttosto che usare i pupazzi o l’animazione in Computer Graphic?
Patrice Leconte: In effetti mi sono chiesto che tipo di animazione utilizzare ma io sono molto legato al disegno e volevo che il film avesse un aspetto molto disegnato. Per questo non ho voluto fare un film con la Computer Graphic perché penso che i film fatti con questa tecnologia siano un po’ troppo “lisci” e si perda il gusto del disegno. Io fatto diversi cortometraggi di animazione quando ero più giovane e volevo che questo mio primo lungometraggio d’animazione rimanesse un disegno animato, soprattutto volevo che questo primo film fosse molto vivace, rapido mentre con i pupazzi tutto è molto rallentato. Usare i disegni per me era la tecnica ideale.

La città dove si svolge il film sembra un mondo fuori dal tempo, lei ha detto di aver voluto creare un mix tra il 13° arrondissement di Parigi e la Corea del Nord, è vero? E per le canzoni, c’è l’influenza delle canzoni di Kurt Weill per Brecht?
Patrice Leconte: E’ vero che mi sono ispirato in parte al 13° arrondissement di Parigi. Abbiano scattato lì delle foto perché ci sono degli edifici molto tristi ma la Corea del Nord non la conosco. L’idea era di avere degli edifici talmente alti che impedissero al sole di penetrare rendendo la città grigia.
Per le canzoni ho lavorato con Etienne Perruchon che è un amico con cui avevo già lavorato. E’ vero, il film ha questo tipo di canzoni ispirate al paesi dell’est e forse anche a Kurt Weill. Quando gli ho proposto il film ha fatto i salti di gioia perché da quando fa il compositore ha sempre sognato di fare un film d’animazione.

A parte i personaggi dei bambini che si vede che sono personaggi di fantasia, per i personaggi adulti vi siete ispirati a qualche persona reale?
Patrice Leconte: E’ vero che i disegnatori si sono messi a fare le caricature di persone che conoscevano ma nessuno di reale. Però vi posso dire che quel personaggio col cappello che ruba una corda e che verso la fine torna nella bottega e chiede una crepe al cianuro, quello è ispirato al produttore del film. Anche se lui l’ha visto e nega tutto.

Dopo aver fatto questo film le è venuta voglia di animazione e continuerà a farne altri oppure questo rimarrà un unicum nella sua filmografia?
Patrice Leconte: Mi è piaciuto moltissimo fare questo film e quindi con lo stesso gruppo abbiamo lanciato un nuovo progetto ma questa volta con una sceneggiatura originale, il film si chiamerà Musique. Cerchiamo di immaginare come sarebbe la nostra vita se un giorno ci svegliassimo in un mondo senza musica. Comunque questo non è l’inizio di una nuova carriera, è un grosso lavoro che mi dà la possibilità di fare anche altro contemporaneamente.

Allora la ricetta per una vita felice, stando al suo film, sembrerebbe essere: musica, un po’ d’amore e delle crêpes? Com’è il suo rapporto con la musica?
Patrice Leconte: Direi di si, musica, amore e crêpes sono degli ottimi antidepressivi.
Io ascolto musica nella mia vita ma non è questa la cosa importante. La mia passione per la musica è legata al cinema e sarei incapace di fare un film senza musica perché il cinema è una cosa musicale, lo è in termini di ritmo, sensibilità, emozioni. Se qualcuno mi proponesse di fare un film ponendo come condizione che fosse privo di musica rifiuterei.

Elena Bartoni

 


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